Cristina - Osservatorio economia

OSSERVATORIO ECONOMIA

Domun Dulce Domun
 

di Luca Paolazzi

 

Domum dulce domum. Il latino rende meglio dell’italiano nel tradurre il famosissimo anglosassone «Home! Sweet Home!». Perché nella lingua di Dante la parola «casa» rappresenta sia il focolare attorno a cui si riunisce la famiglia sia l’edificio in cui il focolare è racchiuso.

La pandemia ha enfatizzato drammaticamente il primo e più intimo significato del termine. Costrette a rimanere chiuse tra le quattro mura domestiche, dai pubblici editti non meno che dalla paura di essere contagiate, le persone hanno riordinato le priorità esistenziali secondo una nuova scala. Rivalutando le ore trascorse indoor casa rispetto a quelle passate fuori.

Se la scala precedente assegnava un alto valore esperienziale alla vita sociale esterna, con inevitabile adeguamento di vestiario e accessori (per obsolescenza edonica più che fisica), quella attuale assegna un punteggio molto più alto al divano del soggiorno, alla cucina, al tinello e alla sala da pranzo, allo studio, alla camera da letto. E alle connesse pertinenze all’aria aperta: balconi, terrazzi, giardini…

Ciò spiega il vero e proprio boom in cui, da giugno 2020 in qua, si è trasformata la ripresa del settore dei mobili&co. Molti imprenditori temono che non duri. Altri lamentano i rincari, oggettivi, delle materie prime che hanno trafitto gli utili. Altri ancora non trovano operai. E via elencando ragioni di incertezza e malessere. Ma intanto il fatturato e gli ordini salgono; i problemi, quando si presentano, sono di abbondanza.

La riscoperta dello stare al coperto ha innescato nuovi bisogni, prima trascurati o non sentiti. Comunque, guidati dalla ricerca di comfort ed estetica, la stessa che in passato veniva diretta nella cura dell’abbigliamento. Con un tocco tecnologico aggiuntivo, sia per fini di sostenibilità ecologica sia per quelli di digitalizzazione e connettività.

La domotica ha fatto passi da gigante grazie alla intelligenza artificiale applicata a ogni ambito dell’ambiente casalingo. Troppa luce? Le tapparelle scendono fino a creare la penombra desiderata. Suona la sveglia? La macchina per il caffè serve il “solito”, come lo si richiederebbe al barista più frequentato. E al risveglio le tapparelle si alzano (e le finestre si aprono) quanto piace a noi. Ci siamo dimenticati di comprare il latte (vaccino o di soia, che sia)? Impossibile: il frigorifero ha inviato un messaggio WA sul telefonino proprio mentre usciamo dall’ufficio (studio, fabbrica…). La stessa rilevazione del piacere, che non è mai lo stesso, può essere affidata a sensori del nostro umore.

Mica solo la donna è mobile! Oggi è il mobile, informaticamente dotato e connesso, a svolgere il ruolo premuroso di componente del nucleo domestico… In effetti, ormai si comperano sistemi d’arredo, non pezzi sparsi. Petrarca, a cui piacevano sparse perfino le rime, non sarebbe stato a suo agio.

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Tutto coordinato e connesso. E dove andare a comperare ciò, se non in Italia? Il sistema del mobile e dell’arredamento (illuminazione e ceramiche sanitarie incluse) è una delle punte di quel diamante brillante che si chiama Made in Italy.

 

hi scrive coniò anni fa il titolo Esportare la dolce vita (quasi uno slogan) per le analisi che narrano le potenzialità di aumento delle vendite di beni belli e ben fatti italiani sui mercati esteri. Sono termini oramai divenuti vox populi.

In effetti, il fatturato nei mercati stranieri è salito nel corso del tempo durante tutto il passato decennio; solo la pandemia ne ha fermato la marcia. Mentre con la ripresa post pandemica, in virtù anche della nuova scala di valori, il mercato interno ha ritrovato dimensioni che non vedeva da prima della Grande crisi finanziaria del 2008-09. 
Perché il «mobile» non è solo un oggetto materiale. Ma è anche e ormai soprattutto rappresentazione di un modo di vivere l’abitazione
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Un modo italiano, di cui il Salone del Mobile, l’evento che annualmente si tiene a Milano e che coinvolge l’intera città, è una straordinaria vetrina. E insieme un crogiuolo di idee di design, arte, vivere bene.

Nel segno della convivialità e della piacevole scoperta occasionale, che spalanca nuovi orizzonti. In una fertilizzazione incrociata nell’incontro di diversità.
Az én házam az én váram, la casa è il mio castello, recita un antico proverbio magiaro. Resa ancora più bella e accogliente, la dimora non va violata da invasori alla ricerca di bottino.
Serrature a prova di scasso, allarmi sofisticati e muniti di telecamere, collegati allo smartphone che permettono di vedere chi sia l’intruso che si muove furtivo nelle stanze. E se poi si scoprisse che sono il gatto o il cane, si riderebbe di sollievo.
In fondo, le abitazioni sono specchio dei tempi e delle culture.
 
I nostri impongono la connettività e l’intelligenza degli oggetti, che restano senz’anima. Ma esprimono chi siamo, dunque il nostro sentire. Quasi fossero dei Golem cui abbiamo dato vita.

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